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Civiltà Bresciana

 - Civiltà Bresciana

 
01/03/2010

Atti del convegno di Guidizzolo - 15/03/2008


Tra Pavia e Ravenna
Il territorio mantovano e la fascia di confine tra il regno longobardo e l'esarcato bizantino (sec. VI-VIII)

GIANPIETRO BROGIOLO :

"In attesa di una ricerca archeologica sistematica sul territorio di Mantova nell'altomedioevo".

Lo scavo delle cinque necropoli di Sacca di Goito, databili tra V e VII secolo, alle quali si sono aggiunte in seguito le 93 tombe di Guidizzolo, hanno attirato l'attenzione degli studiosi e delle istituzioni locali sull'altomedioevo, anche se da una visuale peculiare, quella del mondo funerario. Il ritrovamento di corredi con oggetti di cultura non romana ha poi riproposto il tema di una possibile presenza alloctona, che confermerebbe quanto riportato dalle fonti scritte: Laeti insediati nelle terre deserte della Pianura Padana dagli imperatori del IV secolo, barbari dell'età delle invasioni (Visigoti di Radagaiso e Alarico all'inizio V secolo, Ostrogoti dal 489,
Bizantini del periodo della riconquista dal 535, Longobardi con altri popoli minori dal 568).
I barbari sono stati considerati da generazioni di storici e archeologi come l'elemento chiave nella fine dell'impero romano. Utilizzando le attestazioni delle fonti scritte e materiali, ne hanno ricercato le tracce nell'onomastica, nelle dichiarazioni di legge germanica, nelle attestazioni di arimanni, nei corredi funerari e più in generale nella cultura materiale. Testimonianze che la più recente storiografia ha rifiutato con forza, sostenendo l'impossibilità di riconoscervi una presenza alloctona, come propone Guy Halsall che rifiuta
aprioristicamente qualsiasi elemento identificativo dei barbari.          Secondo questo studioso, i corredi funerari non sono in rapporto con il
paganesimo, né con le immigrazioni (non c'erano prima), compaiono in periodi di stress come sintomo di instabilità sociale e di competizione per il potere locale e vengono sostituiti da monumenti fuori terra quando la società si stabilizza gerarchicamente.   L'idea che le architetture povere siano state portate dai Germani è più verosimile rispetto a quella dei corredi, ma semplifica una situazione complessa che suggerisce cambiamenti profondi a livello mentale. I toponimi germanici indicano solo dove la lingua
germanica si affermò, mentre l'onomastica non è indicativa perché venne adottata anche dai romani a partire dalla fine del Vl secolo.
Quanto poi alle analisi antropologiche degli scheletri e del DNA sono irrilevanti. Anche l'idea che i gruppi germanici fossero costituiti da uomini liberi è sbagliata, e le leggi cosiddette germaniche sarebbero in realtà derivate dalla legge volgare romana. Eliminata ogni possibilità di rintracciare i barbari nelle fonti scritte e in quelle archeologiche, non si può sostenere che le migrazioni abbiano caratterizzato il periodo che coincide con la fine dell'impero d'Occidente più di altri periodi storici; i barbari, anche per numero, costituivano una piccola percentuale della popolazione europea.
La conclusione di Halsall è che le motivazioni della caduta dell'impero sono tutte interne alle dinamiche del potere romano.                                                  Le relazioni con i barbari provocarono un misto di spinta e attrazione alla migrazione: i migranti erano qnelli che avevano perso la battaglia per il potere politico in patria; ad attirarli furono le carriere militari e una vita più agiata. A questo si aggiunge nel V secolo un vuoto politico, alle quali le èlites regionali romane fanno fronte accordandosi con i barbari. I nuovi arrivati sono dunque piuttosto l'effetto che la causa della fine dell'impero, cui seguì la formazione di nuove identità nazionali, che richiese tempo, forse più di una generazione, riducendone in tal modo l'impattto. Furono in definitiva le scelte locali, nel costruire le nuove identità, che determinarono il successo o il fallimento di regni e imperi. La riconquista di G:iustiniano fallì perché fu parziale e non riuscì a legare le elites locali e regionali al potere centrale e allrettanto effimeri furono i regni dei Burgundi e degli Alemanni; solo nel regno merovingio questo equilibrio venne raggiunto.
Questo lavoro si inserisce nel radicale revisionismo avviato una trentina d'anni orsono da Peter Brown e Wallter Coffart, rispetto al quale si sono levate decise obiezioni. Sta inoltre emergendo una nuova generazione di storici e archeologi che con nuovi strumenti e con nuove linee di ricerca riconsidera alla radice l'intera questione dei barbari. Senza focalizzare questo problema, risulta difficile affrontare altri temi più generali, come il destino delle aristocrazie tardoantiche, delle quali dopo il VI secolo si perdono, almeno in Italia, le tracce. C'è da chiedersi se questo significhi una sostituzione con nuove classi dirigenti o semplicemente un cambiamento di autorappresentazione delle vecchie èlites, che avrebbero adottato nuovi modi per attestare la propria posizione sociale, quali i corredi nelle sepolture. Il ruolo della Chiesa, un'istituzione che deriva la sua struttura organizzativa da quella pubblica tardoantica e rappresenta un elemento di continuità sia a livello locale sia per l'intera Europa barbarica di religione cristiana, va inoltre analizzato congiuntamente a quello dello Stato, il che significa ricostruire il quadro istituzionale, tra la fine dell'impero la frammentazione dell'Italia tra territori bizantini, regno e ducati longobardi.                                                                                                            Aristocrazie, Chiesa e forme statuali costituiscono la cornice articolata (o forse è meglio dire frammentata), all'interno della quale si collocano l'evoluzione economica e insediativa. Quella economica ruota attorno ad una domanda, che da Henry Pirenne a Chris Wickham si sono posti tutti gli storici: qual è il ruolo del commercio internazionale nell'economia altomedievale e quale ruolo riveste l'Adriatico nei commerci tra Mediterraneo ed Europa. Il che significa, a scala regionale, qual è stata la funzione dei capisaldi bizantini della costa altoadriatica, dai quali emergono come siti simbolo dapprima Comacchio, contraente del tratttato del 715 con Liutprando e dal IX secolo Venezia come emporio egemone. Considerati centri di arroccamento difensivo dalla storiografia tradizionale, vengono
ora valutati come centri di smistamento dì prodotti mediterranei verso i territori longobardi ( e Mantova è uno dei terminali dei traffici che i Comacchiesi portavano nel cuorede! regno). Si discute peraltro quale ne fosse la portata, e la risposta potrà venire solo da ulteriori studi, possibìli se si studiassero e pubblicassero i reperti degli scavi di emergenza e se parallelamente si avviassero nuovi progetti di ricerca, indirizzati a conoscere le forme del popolamento altomedievale, delle quali abbiamo nel mantovano una visione parziale e distorta. Per ora conosciamo infatti solo gli insediamenti altomedievali svilluppatisi in città sopra le domus e in campagna al di sopra delle ville romane: scavando queste, facilmente idenltificabili, sono stati individuati anche i nuovi abitati sovrapposti, realizzati, salvo poche eccezioni, con una cultura materiale deperibile (con edifici per lo più in legno), che richiede rierche mirate. In superficie
nei campi arati, le tracce sono archeologicamente esigue e non sempre distinguibili da una semplice frequentazione a scopo agricolo.
Disponiamo però di indicatori che ne consentono una facile ubicazione: si trovano sotto gli abitati attuali, sotto i castelli bassomedievali o in prossimità dì chiese altomedievali. In Toscana, ad esempio, i siti altomedievali sono stati documentati scavando, con progetti di ricerca in siti non minacciati, i castelli di X-XII secolo, e sono stati attribuiti ad una fase di accentramento della popolazione. Durante la grande crisi della guerra greco-gotica, contadini allo sbando si sarehbero raggruppati in siti d'altura, dando vita non solo ad un tipo diverso di popolamento, ma anche a un diverso sfruttamento delle risorse. Nel Bresciano, al contrario, sono stati messi in luce
seguendo con attenzione gli scavi di emergenza degli abitati minori: a Manerbio e Chiari insediarnenti altomedievali sono venuti alla luce al di sotto dell'abitato attuale, e a Leno nei pressi del monastero fondato dal re Desiderio.


       Nuovi strumenti e nuovi indirizzi di ricerca

Queste strategie. seppur perseguite solo in alcuni territori, hanno portato a risultati di notevole interesse, che ora possono essere ulteriormente accresciuti. Nello studio delle campagne, siamo infatti alla fine di un ciclo trentennale basato sull'impiego dei metodi stratigrafici nello scavo dì singoli siti e sulle ricognizioni su vasta scala, che tuttavia non sono state in grado di riconoscere gli insediamenti poveri altomedievali. Disponiamo ora di nuovi sistemi di analisi del territorio, basati su tecnologie molte più efficaci di
remote sensing, quali il rilievo con scansione laser da aereo (LIDAR), e di prospezioni geofisiche applicabili su vasta scala e in grado di rilevare con gran dettaglio non solo lo trama dei siti, ma anche quella dei paesaggi agrari, della viabilità e dello sfrutamento delle risorse, quali miniere e cave. Negli scavi sono stati atresì introdotti lo studio sistematico dei dati paleoambientali, archeozoologici e, per quanto riguarda i resti antropologici, le analisi paleopatologiche e quelle sulle tracce isotopiche, che si propongono l'obiettivo di riconoscere i luoghi di provenienza degli immigrati.
Al dì là di queste procedure innovative, il problema centrale, nella ricostruzione del popolamenlo rurale tra la fìne dell'impero e l'affermazione dei regni romano-barbarici, è proporsi un'agenda della ricerca degli abitati altomedievali, in modo da orientarne lo scavo. L'archeologia dei villaggi va poi ampliata nella direzione di un'archeologia della cornplessità e delle relazioni nella quale deve trovare uno spazio lo studio di tuttte le evidenze dell'età altomedievale: dai sistemi di difesa, alle chiese, alle testimonianze degli scontri e dei confronti etnico-culturali, le cui tracce più cospicue continuano ad essere quelle dei riti funerari, ma che possono essere
rintracciate anche in altri registri di cultura materiale.

Per quanto concerne gli abitati, fondamentale è la scelta degli indicatori e dei loro significati potenziali nella ricostruzione della complessità materiale e sociale dei villaggi. Ricordo i principali:

a) la distribuzione spaziale e la dimensione degli insediamenti rurali, dalla fattoria singola a quelle aggregate in rapporto alle strade, fino
all'abitato raggruppato, che può essere identificato come villaggio, tra una definizione flessibile di un insieme di edifici con una
stratificazione sociale ad una più sofisticata che postula, oltre agli edifici, anche altri elementi di socìalizzazione, quali una chiesa o un
cimitero.                                                                                                                          b) la tipologia dei singoli edifici, da tempo un campo di ricerca autonomo nella storiografia europea, che comprende tre grandi
categorie: interamente in pietra (come quelli dei castelli di V-VI, delle chiese, dei monasteri e delle corte regie); con zoccolo in
muratura e alzato in materiale deperibile (terra o legno) assai diffusi in Spagna e Italia; interarnente in legno, che a loro volta
comprendono le strutture con piano d'uso a livello del suolo e capanne per lo più sussidiarie con fondo seminterrato. E occorre
chiedersi per quali motivazioni (funzionali, etico-culturali, sociali) compaiano contemporanemente, all'interno della stessa regione o
dello stesso sito, differenti tipi edilizi;                                                                      c) i resti zooarcheologici e paleoambientali e l'associazione degli oggetti di cultura matriale in rapporto a singoli edifici o spazi d'uso
sono stati utilizzati da alcuni studiosi, tra i quali Marco Valenti, nello sludio del villaggio altomedievale di Poggibonsi, come base per
un'interpretazione economica e sociale, al pari di altri indicatori più complessi, quali quelli in grado di mostrarci stratificazioni sociali o
stabilità sociale. In tale prospettiva, la persistenza dell'abitazione nel medesimo posto (ad esempio nell'abitato di Piadena), può essere
letta come conseguenza del perpetuarsi del controllo legale della proprietà.

Gli indicatori archeologici non sono ovviamente fini a se stessi, ma costituiscono i pilastri sui quali produrre interpretazioni via via più
articolate, rispetto alle quali l'archeologo deve fare preliminarmente il conto con le fonti scritte e con gli studiosi chese ne occupano.
Non per dipendere dalle loro interpretazioni, ma per integrare e confrontare tali fonti nel modello costruito sui dati archeologici
È dunque evidente come solo un'archeologia progettata produca risultati. E per progettata va intesa una ricerca che si ponga obiettivi
chiari e strategie precise in grado di ottenerli. Questo non significa però che risultati positivi non si possano conseguire con
l'archeologia di emergennza, come taluni credono e come Andrea Carandini ha proclamato con molta decisione recentemente,
sostenendo che < affascinanti. Più che contribuire alla costruzione della memoria, fanno parte essi stessi di un problema che contribuiscono ad
agggravare: la sua distruzione>>. Basta spostarsi nel vicino territorio bresciano per smentire questa idea. Trent'anni di ricerche
sistematiche, in larga misura condotte dalla Soprintendenza, vi hanno infatti prodotto una conoscenza abbastanza dettagliata dei
processi di trasformazione tra tarda età romana e altomedioevo, sia per la città che per il territorio.


    Per una ricerca sistematica nel territorio mantovano

Per il Mantovano, dove l'interesse per l'altomedioevo è stato del tutto occasionale, disponiamo di scarne informazioni, non più che
indizi che val la pena riepilogare, nella speranza che qualche studioso (in realtà ne potrebbe bastare uno sufficientemente motivato
all'interno della Soprintendenza) vi dedichi vent'anni della sua vita di archeologo.
Queste informazioni derivano da ritrovameti fortuiti e da alcuni scavi di tre particolari strutture: sepolture, cui si e già accennato, con
corredo tra V e VII secolo, ville romane e chiese altomedievali. Indizi che possiamo organizzare attorno a due temi principali di ricerca: la trasformazione delle aziende rurali dopo la fine delle ville e la cristianizzazione delle campagne, problema quest'ultimoa sua
volta collegato alle origini del centro episcopale di Mantova. Dati più labili riguardano i castelli tardoantichi, di cui vi è traccia lungoi fiumi (a Revere e Viadana) e che vanno studiati in relazione alla fortificazione di Mantova. Ne ho discusso in un recente lavoro e dunque ad esso rinvio.
Per ora possiamo tentare solo un approccio minimale, rimandando a tempi migliori una verifica sull'impatto dei cambiamenti istuzionali ed economici sulla struttura dell'insediamento. E potremo anche discuterne i ritmi, tra un modello toscano di precoce accentramento (dal VI secolo) per iniziativa di contadini liberi da vincoli di proprietà e sociali e l'idea, prevalente tra chi si occupa delle regioni prealpine, di una sopravvivenza dell'insediamento sparso fino almeno al VII in un sistema ancora gerarchicarnente rigido, per la presenza di una fitta rete di beni fiscali e di castelli di V-VI secolo costruiti per iniziativa dello Stato, nel vano tentativo di difendersi dalle invasioni. Il Mantovano, nella discusssione di questi temi, potrebbe proporsi come un'area campione di particolare interesse, per la sua posizione tra il Garda ( e dunque le Prealpi) e il cuore della Pianura Padana.
In attesa che qualcuno intraprenda ricerche sistematiche, possiamo ragionare solo per schemi assai generali. Gli indizi di cui disponiamo sembrano suggerire differenti modelli di popolamento. Troppo varia è, del resto, la geografia del mantovano per pensare ad un'unica strategia insediativa. Ad un primo esame ne emergono almeno tre: a) l'area collinare del Garda, con un capillare insediamento romano di cui conosciamo numerose ville sulle quali persiste un' occupazione altomedievale in strutture povere; b) le fasce insediative legate ai fiumi (Mìncio, Chiese, rami del Po), principali assi di comunicazione in età prtostorica e anncora in quella altomedievale e dunque di attrazione del popolamento per quei periodi; C) la zona centrale di pianura, di cui conosciamo molto poco
e di cui va preliminarmente accertata l'estensione e il grado di conservazione delle aree centuriate.

In questa sede mi soffermerò sull' area collinare del Garda, in prossimità della quale si colloca anche Guidizzolo. Nell'anfiteatro morenico, dipendente in età longobarda dal castello di Sirmione, gli scavi di alcune ville romane dimostrano differenti evoluzioni tra tarda antichità e altomedioevo. In quella di Mansarine di Monzambano non vi è più traccia di occupazione dopo il VI secolo.
Evidenza che conferma come alcune finiscano, almeno come centro direzionale e abitativo dell'azienda rurale, il che però non significa che anche l'azienda sia stata abbandonata. I contadini potrebbero essersi spostati nelle vicinanze. Analoga situazione è stata accertata a Desenzano nella villa di località Faustinella. A San Cassiano di Cavriana gli scavi hanno invece documentato, dopo una fase apparente di abbandono nel corso V, fasi insediative di VI-VII con strutture della villa ancora parzialmente in elevato e una successiva fase di VIII-IX secolo con edifici in legno. Anche la chiesa, inserita all'interno di un'azienda agricola ancora attiva, nel 1037 è annoverata tra le pievi mantovane, ma sembra di origini più antiche, non ben datate a causa del sondaggio assai limitato.
Anche su altre ville è attestato un luogo di culto che strutture ccnservate in alzato, elementi scultorei di VII-VIII o dati di scavo permettono di datare ad età altomedievale. Si possono citare gli esempi di San Zeno di Rivoltella, San Girolamo di Desenzano, Pieve di Manerba, San Cassiano di Padenghe. Alcune tra queste chiese, come quella di Santa Maria di Pontenove, fin dall'inizio (V-VI secolo) ebbero funzione di cura d'anima (lo conferma la presenza di un battistero), altre lo diventarono nel tempo, altre ancora
rimasero cappellle funerarie private, alcune infine, incamerate per dono o altro, divennero celle monastiche (come quella di Maguzzano ora in corso di scavo). Una chiesa altomedievaìe e quattro fasi di necropoli, databili tra gli inizi del V e il VII secolo, si trovano, come si è detto all'inizio, a Sacca di Goito, un sito del quale manca tuttora un'interpretazione plausibile. Non è stato infatti riconosciuto il tipo di insediamento cui riferirle. E tuttavia, anche in questo caso, vi sono alcuni indizi su cui lavorare, nonostante manchi ancora una pubblicazione degli scavi. Sono suggeriti dalla geomorfologia e dalla parcellizzaziaone dell'area, dalle strutture murarie rinvenute in località 'Chiesazza', dalle necropoli.
L'area nella quale insistono queste strutture corrisponde ad un'area pianeggiante tra il Mincio (ad ovest), distante poche centinaia di metri e la via Postumia (ad est}. Orientata sulla via Postumia e a partire da questa, si nota dalle foto aeree e dalla cartografia storica, una parcellizzazione regolare. Si tratta di una bonifica certamente anteriore alle necropoli che ne rispettano l'orientamento, e dunque può essere datata ad età romana. Trova confronti in numerosi altri esempi di parceliizzazione regolare, nella quale si inseriscono ville, come a Nuvolento (Brescia) e Sovizzo(Vicenza), con continuità di utilizzo attestata in entrambi i casi almeno fino ad età longobarda.
Anche se la persistenza della parcellizzazione ne suggerisce una continuità, nell'uso agricolo, fino ai nostri giorni.
In località 'Chiesazza', toponimo riferito ad una chiesa abbandonata dalla quale proviene un frammento di arredo liturgico di fìne VIII secolo, negli scavi degli anni '60 e ripresi poi in anni più recenti dalla Soprintendenza ma tuttora inediti, sono venute in luce numerose strutture murarie di vario spessore e tecnica costruttiva. Sono plausibilmente riferibili ad una sequenza, nella quale si inseriscono alcune sepolture, una delle quali con crocetta aurea databile al VII secolo. Allo stato delle ricerche non è chiaro quali murature siano riferibili alla chiesa e quali ad un diverso, forse preesistente, edificio. Non si può dunque escludere che, almeno in parte, siano pertinenti ad una struttura romana (una villa?). Numerosi sono del resto gli esempi di una continuità insediativa nell'ambito di un' azienda agricola romana, con necropoli e/o chiesa inserita tra i ruderi della villa e nuove abitazioni localizzate nelle vicinanze. Oltre alla necropoli di località Chiesazza ne sono state scavate altre quattro, per un totale di 500 tombe alle quali sono da aggiungere quelle tardo antiche venute in luce negli anni '30'. Le più interessanti sono quelle scavate presso la strada Calliera, orientata, come si è detto sulla parcellizzazione.
La necropoli più antica comprende 38 inumazioni in nuda terra, distribuite senza un ordine specifico, che contenevano oggetti di ornamento personale, specchietti con decorazioni ad elementi vegetali ed animali, oggetti che si ritrovano nella cultura di Cerniakov, attribuita ai Visigoti stanziati attorno alle foci del Danubio. Mentre altri rnaterialì, come vasellame in bronzo, recipienti in vetro, ceramiche invetriate e ceramiche sovradipinte sembrano trovare confronto nelle necropoli della Dacia e della Pannonia. Si tratta di
associazioni che non hanno per ora confronti in Italia e che sono state riferite ad un gruppo di Visigoti, forrse venuti in Italia agli inizi del V secolo con Radagaiso e Alarico e che, dopo la sconfitta del primo e la morte del secondo, sarebbero stati sistemati in questa area rurale.
Lungo la medesima strada è stata scavata un'altra necropoli, databile al VII secolo, con un gran numero di sepulture allineate su file parallele, sia in nuda terra, sia a cassa con coperture alla cappuccina o piane in lastre di pietra o laterizi. Vi è attestato anche il tipo "a
casa mortuaria" in legno al di sopra della fossa, con a fianco la sepoltura di un cavallo, caratteristiche peculiari attestate già in Pannonia e con confronti nelle fasi più antiche dei cimiteri longobardi italiani. I corredi comprendono oggetti di abbigliamento (guarnizioni di cintura, pettini in osso, collane, orecchini ed anelli in bronzo), due crocette in lamina aurea, un vasetto a sacco decorato a stralucido, uno sperone ageminato e alcuni scramasax, ma non spade, il che ha suggerito "un abitato longobardo o con una forte
composizione di abitanti di origine longobarda".

In conclusione, gli indizi sui quali tessere un'interpretazione sono: a) la posizione in rapporto al Mincio e alla via Postumia, ma discosta
dall'abitato di Goito sorto, in un nodo viario importante, lungo la strada Brescia-Mantova e all'incrocio con il Mincio; b) la natura agricola dell'area; c) la sua riduzione a coltura con una parcellizzazione orientata sulla via Postumia; d) la probabile presenza di una villa romana; e) cinque necropoli, una delle quali forse inserita nelle strutture abbandonate della villa (o in aternativa presso una chiesa con una sequenza complessa); f) la successione di corredi di differenti culture, ma almeno in parte riferibili a gruppi alloctoni, una situazione questa riscontrata anche in Piemonte, a Collegno, tra una fase ostrogota e una successiva longobarda.
E dunque l'ipotesi, che solo nuove indagini potranno confermare o negare, è che si tratti di insediamenti nell'ambito di una grande proprietà, inserita nella parcellizzazione regolare orientata sulla Postumia e forse in rapporto con una villa sulla quale potrebbe poi essere stata costruita la chiesa e la sepoltura con crocetta aurea del VII secolo. Nessuna ipotesi è invece possibile avanzare sull'insediamento cui riferire le 93 tombe con corredi di età longobarda, parte di una più ampia necropoli in gran parte distrutta, venute in luce a Guidizzolo, anche in questo caso non lonta.no da una chiesa, ma senza alcun dato ulteriore per chiarirne la relazione con uno
specifìco insediamento.


Salvo per San Cassiano di Cavriana, in tutti gli altri casi sopra ricordati non abbiamo alcun dato archeologico dopo il VII secolo, e non possiaarno dire se questi insediamenri sparsi siano sopravvissuti o se invece la popolazione si sia accentrata in villaggi secondo quella tendenza che, come si è detto, si è manifestata nel corso dell'altomedioevo in tutta l'Europa. Anche perché ci manca, per la nostra zona, la ricerca in direzione contraria, a partire dai siti testimoniati dall'VIII secolo alla fine dell'altomedioevo. Ad esempio nellle chiese di Gusnago, Bocchere, Castelgoffredo, Mosio, frammenti di arredo scultoreo, databili tra seconda metà VIII e IX secolo, ci confermano la presenza di una chiesa altomedievale, e un'indagine archeologica ci permetterebbe di verificare il modello insediativo suggerito dalle fonti scritte. Il fundus di Buccaria (Bocchere) era proprietà di Taido civis de Bergamo e gasindio domni regis; San Martino di Gusnago, curtis menzionata in vari documenti della seconda metà dell'VII secolo è di Cunimondo, altro gasindio regio con interessi anche nel castello di Sirmione. Attorno al 900 le chiese di Gusnago e Bocchere, oltre a quella di Pegognaga, Tontolfi, Marcharegia, Rivariolas, Mantevado, Castellana e Cigognara sono ricordate nel polittico di Santa Giulia tra le dipendenze
del monastero bresciano. Se le fonti scritte le mettono in relazione con proprietà, passate dalla grande aristocrazia laica o dai beni pubblici al monastero, solo l'archeologia potrà chiarirne il rapporto con le aziende agricole che dall'età romana sembrano continuare, in alcuni dei casi considerati, fino almeno al Vll secolo.
La risposta non sarà univoca, ma all'insegna della complessità, ed è sufficiente, per convincersene, ricordare il caso, assai prossimo al
Mantovano, del territorio di Montichiari, un'area di pianura delimitata a ovest dal fiume Chiese, ad est da un cordone morenico, dove sono attestate ben 11 ville romane, tre necropoli altomedievali e l'abitato medievale al di sotto di quello attuale. In età romana, l'area di pianura è interessata da ville rustiche di media dimensione, una sola delle quali raggiunge circa un ettaro. Fondate in età augustea, solo in tre casi, in base all'evidenza attuale, sembrano superare il V secolo: in una lo suggerisce una chiesa (Santa Cristina) con sepolture altomedievali, e in altre due (Bredazzane, Breda dei Morti) piccole necropoli con meno di 15 inumati fanno ipotizzare la
persistenza di un'occupazione familiare fino all'altomedioevo. Dalla fine del VI, l'insediamento sembra spostarsi sul cordone morenico costituito da sei colli isolati in direzione nord-sud e collegati da una strada (la via Rampina), che li costeggia sul versante occidenlale.
In un tratto di quattro chilometri vi sono documentati: 1) la chiesa di Santa Maria Antiqua, ritenuta l'originaria chiesa battesimale; 2) una grande necropoli a file in località Fontanelle ai piedi della collina di San Zeno, della quale sono state scavate 325 tombe. I corredi di abbigliamento rinvenuti solo in 73 sepolture (molte sono state però oggetto di antica spoliazione) non comprendono armi e hanno elementi di cultura germanica e bizantina. Coprono un periodo che va sino alla fine del VII, ma la presenza di un'iscrizione su laterizio datata tra VIII e IX secolo suggerisce di ampliarne la cronologia sino almeno all'Vlll secolo. Se così fosse, coprirebbbe l'arco di
tredici generazioni, per un gruppo umano di una quindicina dì persone, pari a tre famiglie. È stata ipoteticamente messa in relazione con un piccolo insediamento suU'adiacente colle dì San Zeno, dove è attestata 3) la chiesa omonima datata, ma senza prove certe, al IX secolo, e un castrum vetus che la racchiudeva (menzionato peraltro in documento tardo e dubbio del 1185). Poco più il sud, sulle propaggini del colle di San Giorgio, è stata scavata 4) una piccola necropoli altomedievale di tomhe a cassa prive di corredo e sulla sommità del medesimo colle, dove si conservano i resti in alzato 5) della chiesa di San Giorgio, con una fase altomedievale ad aula unica e tre absidi, che trova confronti in un ampio arco cronologico che va dal VII all'Xl secolo, quando il vescovo di Brescìa vi istituì una comunità di canonici.
Questa storia è il risultato di venti anni di ricerche, dirette da Andrea Breda (Soprintendenza per i Beni archeologici della Lombardia) e condotte sul terreno dal locale gruppo di volontari, che con investimenti irrisori hanno integrato ricognizioni, saggi, scavi in estensione e analisi stratigrafiche delle murature conservate in elevato. Costituisce l'esempio eccellente non solo della trasformazione  di un territorio rurale tra l'età romana e il basso medioevo, ma anche della progettua!ità e delle risorse necessarie per ricostruirla.

 


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