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Fornaci a e b, da sud.
 
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Anno 2007

LONATO (BS) - loc. Fornaci dei Gorghi



SOPRINTENDENZA PER l BENI ARCHEOLOGICI DELLA LOMBARDIA NOTIZIARIO 2007

Alfredo Lozej*, Elisabetta Roffia**, Roberto de Franco***, Giancarlo Biella****
                                                                                                                                                                  
Fornaci di età romana e medievale a Lonato.
La vocazione artigianale di un'area

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Premessa
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Nel 1985, a sud di Lonato (Brescia), in località Fornaci dei Gorghi, fu scavato un vasto e importante complesso di fornaci romane, costituito da almeno sei differenti impianti produttivi, a pianta circolare (fornaci A, F), quadrata (fornaci B, C, E) e rettangolare (fornace D). Le fornaci, che comprendevano anche vani di servizio collegati alle attività artigianali, furono attive durante il I - inizio II secolo d.C. <1>.  L'interesse del ritrovamento deriva dalle sue vaste dimensioni e dalla presenza, probabilmente in parte contemporanea, di diversi impianti, alcuni dei quali in buono stato di conservazione, tipologicamente differenziati, benché tutti destinati alla produzione di laterizi.
I limiti dell'area occupata dalle fornaci non furono allora definiti, né fu possibile riferire le strutture a qualche vicino insediamento residenziale, anche se il rinvenimento si inserisce in un'area densamente popolata e caratterizzata dalla presenza nella stessa epoca di numerose ville e abitati sparsi.
Tra il 2000 e il 2001 l'IRRS del C.N.R., con la Sezione Geofisica dell'Università Statale di Milano ed in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, ha svolto in quest'area un'indagine geofisica integrata all'interno del programma "Standardization of Geophysical Methods and Surveys" del progetto "Safeguard of Cultura l Heritage" del C.N.R. (fig. 1).  L'obiettivo dell'indagine era quello di localizzare i resti di altre antiche strutture sepolte sotto una successione sedimentaria lacustre-morenica. 
 

Inquadramento geografico  e geologico                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

L'area, dal toponimo significativo di "Fornace dei Gorghi", è situata nel comune di Lonato, tra le province di Brescia e Mantova, a sud del Lago di Garda. Si presenta come un'ampia pianura circondata da piccole colline che segnano la transizione dal paesaggio del lago, a nord, alla campagna lombarda. È una zona caratterizzata da tipici rilievi morenici disposti in larghi archi concentrici nell'area a sud del Garda.
La successione geologica dei terreni, partendo dalle unità più recenti, è la seguente:
- limo e argilla sabbiosa, con alternanze regolari tra sottili strati orizzontali con accentuata presenza di sabbia e limo, e strati di marna calcareo-dolomitica (Olocene: presente - 10 ka);
- depositi morenici, costituiti da ciottoli minuti e spesso lisciati, con argilla di origine glaciale e/o lacustre, che possono essere ascritti al Periodo Wurrniano, cioè al periodo finale del ciclo glaciale del Lago di Garda (Pleistocene Superiore: 10 - 30 ka);
- formazioni conglomerati che continentali di origine poligenica a matrice differenziata (Miocene Superiore: 5.000 - 11.000 ka);
- formazioni marine tipiche di acque basse e calde, caratterizzate dall'intercalazione di due sequenze di calcari e marne denominate "Scaglia Rossa" al tetto e "Scaglia Grigia" alla base (Cretacico Superiore: 65.000 - 92.000 ka).
Tutti questi tipi di rocce fanno parte di uno schema generale che include le formazioni più recenti dell'anfiteatro morenico, effetto dell'ultima fase della glaciazione Wurrniana, con la sequenza continentale di sovrapposizione tra i conglomerati dell'età Terziaria e le unità sedimentarie Mesozoiche, tipiche della struttura prealpina che circonda il Lago di Garda. 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

Dati geofisici e loro interpretazione
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
In questa sezione si descrivono i metodi geofisici utilizzati per lo studio dell'area, allo scopo di mappare eventuali strutture che potrebbero essere messe in relazione con il complesso delle fornaci esistenti, e le interpretazioni dei dati acquisiti.
Preliminarmente, si sono effettuati alcuni sondaggi elettrici verticali (SEV), poi, su tutta l'area, è stata fatta un'indagine magnetico-gradiometrica, ed infine, su due sottozone, è stata eseguita una prospezione GPR di dettaglio.
Nella prima fase di acquisizione dati, sono stati eseguiti quattro SEV, due nella parte nord e due nella parte sud dell'area, utilizzando il dispositivo Schlumberger asimmetrico, con l'obbiettivo di ricostruire la litostratigrafia superficiale e di valutare le possibili variazioni laterali dei terreni. Per estendere lo studio a tutta la zona d'interesse, sulla base delle caratteristiche litologiche dei terreni di
superficie e delle caratteristiche fisiche e geometriche del target archeologico, la prospezione magnetica è stata scelta come metodologia di investigazione dell' intera area.
Per l'indagine si è utilizzato un gradiometro ai vapori di cesio (G.s.S.I. 858), in acquisizione continua con una lettura al secondo, e si è operato su una serie di maglie, all'incirca quadrangolari, all'interno delle quali sono stati registrati profili distanziati di m 1 uno dall'altro (fig. 2).
L'interpretazione dei dati gradiometrici ha messo in evidenza alcune anomalie di estensione, forma ed intensità differente; solo in due zone, però, tali caratteristiche potevano essere messe in relazione con la presenza di strutture nel sottosuolo assimilabili a quelle oggetto della ricerca.
Le due piccole aree, denominate Area A ed Area B (fig. 3), sono state scelte per l'indagine di dettaglio mediante la prospezione radar.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             Area A  

Come appare in figura 4, la prospezione magnetica ha  evidenziato un'area caratterizzata da valori d'intensità del campo magnetico relativamente alti (chiaramente maggiori di quelli che caratterizzano le zone circostanti). La forma e le dimensioni dell'anomalia magnetica (ma anche i valori di suscettività), possono essere assimilate a quella dell'oggetto della ricerca. In particolare, nella parte bassa, sembra anche possibile rilevare l'apertura tipica posta alla base delle fornaci.
Per meglio definire sia le caratteristiche geometriche dell'anomalia sia le caratteristiche fisiche della struttura identificata, è stato materializzato sul terreno un quadrato di 30 per 30 metri, con al centro l'anomalia magnetica; sull'area è stata effettuata una prospezione GPR in acquisizione continua, col sistema di acquisizione SIR lO ad antenna monostatica (400 MHz). L'acquisizione è stata fatta mediante una rete di profili spaziati tra loro di m 1: 31 profili in direzione N-S e 31 profili in direzione W-E.
Il tempo di registrazione scelto è stato di 50 ns. I dati di tutti i profili sono stati processati per uniformare l'intensità delle risposte; al segnale è stata poi applicata la trasformata di Hilbert ed infine le ampiezze del segnale di risposta sono state campionate ogni 20 centimetri lungo tutti e  profili, per sei diversi tempi di registrazione e quindi per  sei profondità crescenti dal piano campagna. Su tutti i dati relativi ad ognuna delle sei profondità è stata fatta un'operazione di conturing in grado di descrivere, all'aumentare della profondità, la variazione dell'immagine che la prospezione radar ci fornisce. In figura 5, presentiamo una di queste sezioni orizzontali, quella relativa ad un tempo di registrazione di circa 25 ns: la figura indica la presenza di una zona anomala, sub circolare, che si sovrappone chiaramente all'anomalia rilevata dalla prospezione gradiometrica gradiometrica.    

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Area B

In quest'area, l'anomalia messa in evidenza dall'indagine magnetica non è così chiaramente definita come quella del caso precedente; questo per le interferenze causate dalla presenza della stazione di alimentazione ad alta tensione della centrale ENEL, contigua alla zona investigata.
La scelta di dettagliarla con una prospezione GPR si è basata soprattutto sul fatto che, appena oltre il muro di cinta, è presente una fornace romana, ben conservata e protetta, posta proprio all'interno della centrale.
Sull'area, la prospezione GPR è stata fatta su una porzione di terreno di m 30 x 12, utilizzando gli stessi criteri usati per l'Area A. Sono stati registrati 31 profili in direzione W-E, lunghi m 12 e spaziati di m 1 e 13 profili di m 30 in direzione S-N. I dati ottenuti, processati in modo analogo a quelli dell' Area A, hanno portato alla costruzione di sei sezioni orizzontali, relative a profondità crescenti rispetto al piano campagna. In figura 6 mostriamo la sezione relativa alla profondità corrispondente al tempo di registrazione di 25 ns. Nella parte destra della figura appare una anomalia particolarmente significativa che non evidenzia però una forma riconducibile al tipo di struttura che stiamo cercando; in prima approssimazione questa anomalia potrebbe essere piuttosto legata ad una lente argillosa di origine lacustre o alla presenza di un camminamento, strutturato su materiali dello stesso tipo, compattato dal tempo e dalla copertura. Più significativa, anche se caratterizzata da un contrasto minore, appare l'area delimitata in rosso: essa suggerisce una continuità con la struttura della fornace romana posta appena oltre il muro che delimita la centrale ENEL.
Le metodologie geofisiche integrate, utilizzate nello studio dell'area posta in località "Fornace dei Gorghi", hanno permesso di identificare due sottozone, una nell'Area A e l'altra nell' Area B, caratterizzate da una chiara discontinuità rispetto al terreno circostante. In entrambe le situazioni si sono riscontrate, in sovrapposizione, anomalie significative sia gradiometriche che elettromagnetiche. La dimensione stimata delle anomalie, di circa m 10, e la loro forma suggerivano la possibile presenza, nelle due zone, di strutture riferibili ai resti di una fornace.  Successivamente alla nostra indagine, solamente l'area A è stata oggetto di uno scavo archeologico; la prospezione geofisica, pur positiva per quanto riguarda la localizzazione della struttura, aveva rilevato però una anomalia di forma sub-circolare che ben si accordava con le caratteristiche delle fornaci romane della zona. Lo scavo archeologico ha invece posto in luce una struttura, all'incirca delle dimensioni previste, di forma rettangolare. In effetti, una volta individuata l'anomalia geofisica, la sua forma ci ha indotto a collegarla immediatamente a quella delle fornaci della zona: i dati non sono stati ulteriormente elaborati per meglio definire l'effettiva forma della sorgente. Trattandosi di strutture sepolte, era poi difficile prevedere il mantenimento della loro forma originale: avremmo dovuto prendere in considerazione anche la possibile distribuzione del materiale attorno alla posizione originale sia per effetto del crollo che per le eventuali movimentazioni provocate dall'aratura del terreno. Probabilmente, anche se non fossimo stati così condizionati dalla forma circolare delle vicine fornaci romane, sarebbe stato comunque difficile per noi definire, con buona precisione, la forma vera della struttura individuata. (aut.: A. L. , R.d.F., G.E. )

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Lo scavo di una fornace postclassica

L'area esaminata nell'ambito del Progetto Finalizzato CNR-Beni Culturali, di ca.125.000 metri quadrati, è situata a ovest della zona dove si trova il complesso delle fornaci romane (fig. 7).
Delle due anomalie individuate nelle prospezioni, l'anomalia B va riferita alla zona interessata dalle fornaci romane indagate nel 1985 e in particolare alla fornace F. a pianta circolare, già riconosciuta nello scavo all'interno della centrale ENEL, presso il suo limite occidentale. Il manufatto allora non indagato, ma evidenziato solo sul lato orientale prosegue quindi al di là dell'attuale recinzione 2.
In corrispondenza dell'anomalia A, identificata a ca. m 250 dal complesso delle fornaci romane, è stato effettuato nel 2002 uno scavo archeologico, che ha inaspettatamente portato in luce, poco al di sotto del terreno agricolo, la parte inferiore di una grande fornace a camera di età postclassica, a pianta rettangolare, preceduta da praefurnium <3>.
Le pareti e il piano di cottura erano collassati all'interno della camera di combustione, che risultava pertanto quasi completamente colmata da laterizi, per lo più frammentari. Dopo lo svuotamento del riempimento, l'analisi del manufatto, conservato per un'altezza massima di m 1,10, ha mostrato chiaramente che la fornace, dopo una sua prima fase d'uso, aveva avuto un rifacimento, con la trasformazione in due differenti impianti produttivi (figg. 8-12). Della struttura più antica fu riutilizzato il solo settore occidentale (lunghezza m 5,10; larghezza m 2,25), che venne adattato a una nuova funzione. I perimetrali settentrionale e occidentale di questa parte sono larghi m 0,50, quello meridionale m 1,35. Qui erano state conservate due delle imboccature della fase precedente, con volta a tutto sesto, larghe m 0,50 e alte m 0,70 e, più a sud, anche la prosecuzione del perimetrale occidentale, che probabilmente limitava lo spazio destinato al caricamento del combustibile della primitiva fornace.
Dopo la demolizione della porzione orientale di quest'ultima (di cui non conosciamo pertanto l'originaria larghezza), fu costruita una nuova fornace per laterizi, che si addossò a quanto conservato della precedente sul lato occidentale sopra descritto, utilizzando una piccola parte del perimetrale settentrionale e meridionale di essa. Si realizzarono così due nuovi impianti: a ovest una più piccola fornace (a), che reimpiegava in gran parte la struttura precedente, a est una nuova fornace (b), con ampia camera di cottura di forma rettangolare (lunghezza m 3,75; larghezza m 5,95), dotata di quattro imboccature, con volta a tutto sesto, larghe m 0,50 e alte m 0,80 (figg. 13-15) <4>.
Il perimetrale settentrionale, che si lega a quello della precedente fornace ora riutilizzato nella fornace a, è largo m 0,50, quello occidentale, largo m 0,55/75, si appoggia al muro settentrionale della struttura della fase precedente<5> e chiude sul lato interno parte di una delle due imboccature rimaste nella fornace a.
Il perimetrale orientale è invece di maggiore spessore (m 0,85). All'esterno del lato meridionale della camera di combustione della fornace b si trovano due muri con andamento divergente: quello occidentale chiude in parte l'imboccatura orientale del manufatto più antico (ora riutilizzato nella fornace a), impedendone la funzionalità peraltro già compromessa all'interno dal perimetrale occidentale della nuova fornace b. La parte dell'imboccatura non obliterata dai due muri è stata tamponata, in modo da lasciare in uso nella fornace a la sola imboccatura occidentale. La diversa quota di base della fondazione dei due muri divergenti indica che il piano compreso fra loro era inclinato verso le imboccature della camera di combustione e probabilmente in parte interrato. L'inclinazione era necessaria per favorire il caricamento del legname che alimentava la camera di combustione, posta sotto il livello del terreno. Il piano di calpestio presenta pavimento in mattoni solo nell'area prossima alle imboccature.
I quattro fornici sono divisi fra loro da un breve muretto di m 0,70 di lunghezza, posto al centro dello spazio compreso fra i due muri divergenti sopra descritti. All'interno della camera di combustione, che ha pavimento in laterizi,  sono visibili le impronte di muretti, larghi m 0,20, distanti l'uno dall'altro m 0,80, destinati a sostenere i corridoi su cui poi si sarebbe appoggiato il piano di cottura. I perimetrali, come il pavimento, appaiono qui quasi totalmente anneriti e vetrificati per effetto di termocombustione. Lo stesso fenomeno si riscontra su tre dei muri perimetrali e sul pavimento della fornace occidentale a, evidentemente sottoposti a forte calore nella loro prima fase di vita. Il muro orientale, quello costruito in un momento successivo e che divide i due impianti, appare invece annerito solo sul lato della fornace b, evidentemente esposto, come il resto dei perimetrali, ad alte temperature, mentre il lato rivolto verso l'interno della fornace a non presenta tracce di annerimento.
Tutti i muri sono costituiti da mattoni, in origine in buona parte crudi, di modulo di cm 27,5 x 12,5 x 4,5, legati da terra che per la forte esposizione al calore risulta in alcuni punti completamente saldata ai laterizi stessi. Mattoni crudi erano sovente utilizzati nella costruzione delle fornaci in quanto le alte temperature raggiunte nella camera di combustione avrebbero facilmente determinato la spaccatura dei mattoni già cotti <6>. L'esclusivo ritrovamento di laterizi in tutta l'area scavata e le dimensioni della struttura <7> fanno ritenere che la fornace b fosse usata esclusivamente per produrre mattoni e non vasellame o altri manufatti fittili.
La fornace a invece sembra aver avuto un diverso uso. La parte inferiore della parete, ma soprattutto il pavimento, si presentano coperti di materiale bianco, opaco, incoerente, costituito da minute particelle calcinose. Sul piano pavimentale si trovano diversi frammenti di pietre bianche polverulente in superficie (figg. 16-18). Uno dei blocchi qui recuperati, sottoposto ad indagine <8>, è risultato una dolomia (pietra di Botticino), parzialmente cotta <9>.
L'impianto dovrebbe pertanto essere stato utilizzato come fornace per ottenere calce viva da calcari dolomitici, con temperatura di cottura intorno agli 800/900°C.
Solitamente questa operazione avveniva in forni a tino, con caratteristica pianta circolare, costruiti normalmente entro terrapieno, le cd. calchere (o calcare). Gli aspetti tecnici della produzione della calce entro fornaci di forma cilindrica conclusa da una pseudovolta restano praticamente invariati dall'età romana <10> sin all'avvento dell'epoca industriale, come illustra una delle tavole del Recueil de planches sur les sciences, les arts libéraux et les arts mécaniques avec leur explication dell'Encyclopédie, ove sono rappresentate anche le fornaci per laterizi e per gesso <11>.
La fornace a di Lonato, a pianta quadrangolare, appare anomala rispetto alla maggioranza delle fornaci per calce che hanno solitamente dunque diverso tipo di impianto.
Anche l'accurata indagine sulle calchere dell'Alto Garda e della Val di Ledro, con uno studio storico dettagliato e un censimento degli impianti di epoca preindustriale tuttora conservati, mostra nel vicino territorio del lago la tipologia a tino di questo forno <12>.
Per l'età romana e medievale la struttura a pianta circolare rimane il tipo canonico, come provano diversi riscontri archeologici, ma in età tardoromana e altornedievale sono documentati anche rari esempi di fornaci a pianta quadrangolare <13>. Fornaci da calce presso Augusta in Sicilia, di epoca però preindustriale, hanno camera di combustione a pianta quadrangolare e camera di cottura a pianta circolare. Le pietre calcaree venivano disposte nella camera di combustione solo sui lati, a fare da sostegno a quelle sistemate a cono superiormente, lasciando lo spazio centrale vuoto per il combustibile <14>.
Forse il fatto di avere riutilizzato nel caso della fornace di Lonato una struttura preesistente ha condizionato la forma dell'impianto per quanto riguarda la camera di combustione, mentre peraltro la camera di cottura, di cui non vi è documentazione, poteva essere di forma conica. E forse lo stesso caso della calchera a pianta rettangolare, rinvenuta a Gambassi, loc. Germagnana (fornace A, fine XIII-XIV secolo), che riutilizza una probabile precedente fornace da vetro per fritta <15>. L'ipotesi che si tratti di una fornace a camera per gesso, dove con temperatura di cottura piuttosto bassa si potevano ottenere diversi tipi di gesso <16>, pur più vicina tipologicamente alla nostra fornace <17>, non è stata confermata dai risultati dell'analisi. Anche l'ipotesi che il vano fosse stato utilizzato come semplice fossa per la calce contrasta con la presenza dell'imboccatura occidentale del forno, non tamponata, ma rimasta ancora in funzione.
La cronologia dell'impianto artigianale non è definibile con precisione sulla base delle caratteristiche tecniche delle due fornaci. Unico elemento che fornisce indicazioni di massima è la ceramica rinvenuta nell'area dello scavo. Si tratta di pochi frammenti non pertinenti, come già detto, a vasellame prodotto nella fornace, ma utilizzato nell'ambito delle fornaci, al momento in cui erano in funzione, da lavoranti o personale occupato nella conduzione delle strutture oppure relativo al momento della defunzionalizzazione e abbandono delle fornaci <18>. La datazione di questi materiali fa ritenere che l'utilizzo dell'impianto artigianale sia da circoscrivere ad età tardo medievale <19>.
Scavi recenti hanno messo in luce nel territorio lodigiano e milanese diverse fornaci a camera per laterizi, datate fra XVI e XVIII secolo. Si tratta in genere di strutture di planimetria leggermente diversa rispetto alle fornaci di Lonato, con camera di combustione rettangolare, in prevalenza a due imboccature. In nessun caso sono associate a fornaci per calce <20>.
Diversamente dall'età romana, in cui l'unica fonte antica che descrive tecnicamente le fornaci da calce è Catone, a partire dal medioevo numerose fonti scritte illuminano non tanto sugli aspetti tecnici, rimasti come detto pressoché immutati dall'antichità, ma su quelli organizzativi ed economici di questa attività, che fra l'XI e il XIII secolo ha un forte incremento con il diffondersi degli insediamenti castellani e con il conseguente passaggio dall'utilizzo del legno a quello della pietra <21>.
A Lonato l'attività di fornaci per la produzione di laterizi e di calce è documentata nel Quattrocento dagli Statuti del Comune <22> che prevedevano specifiche e puntuali norme per quilibet fornasarius che deve bona fide, sine fraude facere cuppos, quadrellos seu embes et tavellas ad mensuram communis Lonadi (art. 267). L'articolo prosegue con la prescrizione, sotto pena pecuniaria, che questi materiali e la calcina debbano essere ben cotti e che la calce spenta (calcinam floriatam) non debba essere mescolata con quella viva (scoriatam), né debbano essere vendute insieme e infine che quella non ben cotta debba essere resa ai compratori nella stessa quantità del materiale, evidentemente portato dai medesimi soggetti per la cottura. Altri due articoli dello Statuto definiscono ancora le norme che regolano la produzione e la vendita degli stessi materiali (artt. 268-269): il primo stabilisce i criteri con cui devono essere definiti annualmente il prezzo e la tassazione dei laterizi e della calcina cotti nelle fornaci locali e destinati alle costruzioni, il secondo fissa il peso preciso corrispondente a ogni staio di calcina.
L'attenzione specifica per queste produzioni e il fatto che le norme siano comuni per le due categorie di materiali fa supporre che gli stessi complessi artigianali fossero deputati alle due distinte attività, associando la produzione più complessa di laterizi, nelle varietà tipologiche previste, a quella per calce. Il contemporaneo funzionamento della struttura di Lonato per la cottura di laterizi e per la produzione di calce è un caso non isolato nel medioevo. A Firenze mattoni e calce potevano essere prodotti in un'unica località e in un unico impianto e anzi gli statuti del 1325 e del 1415 prescrivono che nessuna fornace cuocesse mattoni senza produrre pure calce. Ugualmente a Venezia i fornaciai si occupavano anche della cottura della calce <23>. In Sardegna sono frequenti casi di fornaci post-medievali, che abbinavano entrambe le attività e anzi vi sono addirittura casi di fornaci con sovrapposizione d'uso, ora per produrre pietra da calce, ora laterizi <24>.
La presenza di fornaci per laterizi e per calce è ben documentata su tutto il territorio gardesano. Anche gli antichi statuti della Comunità della Riviera (1536) fissano le misure di tavelle, quadrelli e coppi e prevedono sanzioni per impedire truffe (artt. 222-223)<25>. Il problema di frodi nelle dimensioni dei laterizi doveva essere particolarmente vivo, se frequentemente affrontato dal legislatore negli statuti locali, in cui sono definite con precisione le loro misure oppure la necessità di riferirsi a prototipi custoditi dall'autorità pubblica. Queste indicazioni compaiono, ad esempio, già dal XIII secolo nei Capitolari delle Arti della città di Venezia <26> o nel primo statuto comunale di Parma <27>, a riprova dell'interesse pubblico nel controllo di questa attività, regolamentata sin dalle più antiche raccolte di leggi. Nel caso veneziano si tratta di giuramenti a cui sono sottoposti omnes venditores et mensuratores calcine et venditores et numeratores cupo rum et petrarum, con l'impegno di cuocere o far cuocere calcinam ... cupos ... petras solo nelle stagioni favorevoli (da marzo a ottobre), per evitare danni in cottura determinati dal cattivo tempo. Nello statuto parmense sopra citato si dice che i fornaciai erano tenuti a vendere anche calcina adlecta, cioè di qualità scelta e, come i laterizi, ben cotta, in quanto evidentemente c'era il rischio concreto di risparmi nell'uso del combustibile e nei tempi di cottura.
Come risulta evidente da questi esempi le due attività sono molto sovente collegate fra loro e non solo in quanto si tratta di materiali usati insieme nell'edilizia, ma anche, come detto sopra, per una probabile vicinanza di impianti. Numerosi toponimi ancora presenti nel territorio gardesano documentano con ulteriore evidenza la diffusione delle fornaci <28> in un'area in cui come materiale da costruzione si poteva contare soprattutto su elementi litici, quali ciottoli morenici e pietre calcaree, ampiamente utilizzati nei secoli XI-XV nelle costruzioni locali insieme ai più scarsi laterizi, spesso associati nelle strutture per gli effetti decorativi ed estetici <29>.
La zona degli impianti artigianali di Lonato, in prossimità della strada che univa Castiglione delle Stiviere e l'Alto Mantovano al lago di Garda, era ben collegata al territorio circostante e, come già per l'età romana, poteva così essere facilitato il trasporto e la diffusione dei prodotti finiti. Anche le fornaci postclassiche potevano contare quindi su tre importanti fattori, già messi in evidenza per l'età romana <30>: presenza nel sottosuolo di banchi di argilla di evidente buona qualità, sfruttata in cave locali per la fornace per laterizi <31> e vicinanza di materiali reperibili con relativa facilità poiché presenti nella formazione geologica della zona per la fornace per calce; prossimità della fonte di approvvigionamento del combustibile nel vicino territorio boscoso della silva in ligana <32>; vie di collegamento che potevano favorire la vendita e il commercio.
La continuità storica degli impianti artigianali, che hanno lasciato memoria nell'attuale toponimo della frazione, Fornaci dei Gorghi, evidentemente riferito al più recente complesso di fornaci, può essere spiegata solo con la vicinanza di depositi di argilla utilizzabile negli impianti artigianali per laterizi qui realizzati. Il termine "gorghi" può indicare estensivamente corsi d'acqua e può quindi essere riferito ai fossati e al canale che ancora sono indicati nell'area nel catasto napoleonico (1811) <33>.
I laterizi usati nelle fornaci misurano cm 27,5 x 12,5; lo spessore varia fra cm 4 e 5. Corrispondono pertanto a 7,05 x 3,2 once, con spessore di 1-1,25 oncia <34>. Queste dimensioni concordano con quelle ancora indicate negli statuti della Riviera, che prevedono per quadrelli e tavelle misure non inferiori a 7 once di lunghezza e 3,5 di larghezza, con spessore per le tavelle di un'oncia e per i quadrelli di un oncia e due terzi <35>.
Lo scavo delle fornaci tardomedievali di Lonato appare di particolare interesse sia per la presenza dei due impianti produttivi per laterizi e per calce abbinati, sia per la scarsità di esempi noti di fornaci in mattoni crudi a pianta quadrangolare o rettangolare anteriori al XVI secolo <36>. Di rilievo è anche la presenza delle quattro bocche e dei quattro corridoi interni alla camera di combustione a fronte della tipologia più diffusa a due o tre imboccature <37>, indice, con la presenza anche della fornace per calce, di un complesso produttivo di non modesto rilievo.
E.R

 

Note: 

*Università Statale di Milano
**Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia
***IRRS-CNR, Milano
(1) Le fornaci romane 1988.
(2) F. 62, mappale 75.
(3) F. 62, mappale 166. Lo scavo è stato effettuato dalla ditta Ghiroldi Angelo e C. s.a.s., Scavi archeologici. La pianta georeferenziata dell'area è del geometra Carlo Schieppati dell'Ufficio Tecnico della Soprintendenza.
(4) In età preindustriale erano preferite fornaci a due fuochi rispetto a quelle a tre o più fuochi, in cui la resa termica non era proporzionale al consumo di combustibile, MATTIOLI 1984-85. p.47.
(5) Dopo la sua costruzione, nella fornace a viene addossato un muretto di rinforzo al perimetrale settentrionale.
(6) La presenza di mattoni crudi, testimoniata nel XVI secolo per le fornaci per ceramica, PICCO LPASSO 1976, p.122, si riscontra sin dall'antichità, come documentano numerosi ritrova menti archeologici a partire dal V secolo a.c., sino ad epoca postmedievale, BALDASSARRI, FEBBRARO, MENCHINI, MEO, SACCO, TROMBETTA 2005, p. 88. Nel complesso delle fornaci romane di Lonato mattoni non cotti sono utilizzati nelle strutture delle fornaci D e E (Le fornaci romane 1988, pp. 14-16).
(7) Nel XVI secolo le fornaci per ceramica descritte da Piccolpasso misuravano cinque piedi di larghezza, sei di lunghezza e altezza (ca. m 1,70 x 2,10 x 2,10), anche se viene citata una fornace esistente a Venezia di dieci piedi di larghezza e dodici di lunghezza, PICCOLPASSO 1976, pp. 122-123. Sulle dimensioni e caratteristiche delle fornaci per ceramica del XVI secolo, cfr. GELICHI, CURINA 1993.
(8) L'analisi è stata condotta con la consueta disponibilità da Roberto Bugini, CNR-Istituto Conservazione Valorizzazione Beni Culturali, Sezione "Gino Bozza", Milano. Si tratta con ogni evidenza di un caso differente dal rinvenimento isolato di ciottoli calcina ti, considerato, in assenza di altri dati di contesto, "un tipico caso di indicatore fallace", MANNONI, GIANNICHEDDA 2003, p.314.
(9) Roccia sedimentaria, costituita principalmente da dolomite (carbonato doppio di calcio e magnesio), una delle principali e migliori fonti per ottenere la calce.
(10) ADAM 1989, pp. 69-76; SAGUÌ 1986, pp. 350-352. Per le caratteristiche delle fornaci per calce di età postclassica, si veda VECCHIATTINI 1996; VECCHIATTINI 1998; MANNONl, GIANNICHEDDA 2003, pp. 313-318. Numerose altre informazioni si possono ricavare in recenti contributi pubblicati nelle riviste Archeologia dell'Architettura e Archeologia postmedievale, società, ambiente, produzione, alcuni dei quali citati in questo articolo.
(11) Il mestiere e il sapere 19943, p. 127.
(12) Le calchere 1994, con numerose informazioni tecniche e edizione delle norme statutarie che regolavano il loro funzionamento.
(13) SAGUÌ 1986, pp. 351-352.
(14) DI GIACOMO 2001, pp. 15-16.
(15) MENDERA 1989, pp. 54-65.
(16) Il gesso, solfato di calcio idrato (CaS04 2H20), si trova in diversi giacimenti delle Alpi, Prealpi e dell' Appennino, dove viene estratto soprattutto per la preparazione del gesso da presa. Il minerale, mediante riscaldamento a temperatura non molto elevata (107°C), si trasforma in gesso sernidrato, ossia gesso a presa rapida. Con temperature poco più elevate si ottengono gessi per stucca tori (180°C) o gessi d'opera (200-230°C).
(17) Si cfr. la tavola dell' Encyclopédie di Diderot e d'Alambert, anche se di maggiori dimensioni.
(18) Frammento di fondo piano e parete di recipiente con corpo ceramico rossiccio, vetrina interna e esterna verde scuro, molto densa, ansa nastriforme orizzontale, impostata poco sopra il fondo e parete decorata a solcature; vas etto a orlo espanso e alta carena, con corpo ceramico grigio e vetrina irregolare trasparente; ciotola a orlo ingrossato, non distinto, con corpo ceramico grigio-rosato e vetrina trasparente, irregolare.
(19) Fra XIII e XIV secolo (probabili confronti con materiali degli scavi del Tribunale di Verona). Ringrazio Peter Hudson, Genesio e Gabriella Beltrami e Brunella Portulano per l'esame dei pezzi.
(20) SARONTO 2001-02a; SARONIO 2001-02b; SARONIO 2001-02c;SARONlO 2001-02d; SIMONE ZOPFl, POZZATO 2003-04; SIMONE ZOPFI, PRIARONE 2005.
(21) BARAGLl 1998, p. 125.
(22) LUCCHTNI, GANDINI 1999, pp. 182-184.
(23) BARAGLI 1998, pp. 126-127.
(24) FRULlO 2003, pp. 67-73.
(25) SOLlTRO 1897, p. 486.
(26) VAROSIO 2001, pp. 49-50. Per gli ordinamenti comunali di Pistoia, a partire dalla fine del XIII secolo, finalizzati al controllo delle produzioni di laterizi e calcina, cfr. QUIROS CASTILLO 1996, p. 49; per altri statuti toscani e laziali, cfr. BARAGLI 1998, p.127.
(27) CATARSI DALL'AGLIO 1996, pp. 761-762.
(28) Poco a est della località Fornaci dei Gorghi è presente il toponimo Fornasetta (IGM F. 48, III S.O., Castiglione delle Stiviere). Di particolare interesse nelle più vecchie mappe del lago anche la grande fornace presente fra Sirmione e Peschiera (attuale località Fornaci in comune di Peschiera), la cui importanza è indicata dalla vignetta (utilizzata solo per le località o gli edifici isolati di particolare rilievo) che riproduce l'impianto artigianale (pergamena della fine del XIV secolo e carta dell'Almagià (1439-41), MOTTA 1991, pp. 66-67 e 70-71. Una fornace, di età post-classica, è stata evidenziata, ma non indagata a Calvagese della Riviera, frazione Carzago, via della Fornace (STMONOTTI 2003- 2004, pp. 97-98).
(29) BROGIOLO 1989. A Brescia murature in laterizi, disposti orizzontalmente in corsi regolari, compaiono almeno a partire dal XIII secolo, come anche l'utilizzo di laterizi alternati a conci in pietra in porte e portali. Murature in tecnica mista (ciottoli, pietre, conci spaccati e laterizi) si diffondono almeno dal XIV secolo, CORTELLETTI, CERVIGNI 2000, p. 95.
(30) Le fornaci romane 1988, p. 17.
(31) Un piccolo laghetto a brevissima distanza dalle fornaci può far pensare a un invaso rimasto dopo il prelievo del materiale utilizzato nella produzione di laterizi.
(32) Sull'argomento si veda ROFFIA 2007, pp. 10-16.
(33) L'acqua poteva essere utilizzata anche per le necessità collegate all'attività produttiva delle fornaci. Per l'impasto della terra e per ottenere la necessaria plasticità era necessario aggiungere acqua e mescolare il composto con i piedi o con pale.
(34) Considerando il piede bresciano m 0,477 e l'oncia, corri spondente a un dodicesimo del piede, m 0,0397. Il braccio lonatese. pari a cm 48 (suddiviso in 12 pollici da 4 centimetri), inciso sulla seconda lesena dell'abside romanica di S. Zeno (LucCHTNI. GANDINI 1999, p. 10), corrisponde pertanto al piede bresciano.
(35) Cap. 223, SOLITRO, 1897, p. 486, nota 2.
(36) Non sono infatti molto numerosi i ritrovamenti di fornaci medievali, anche se le indagini più recenti hanno ampliato il panorama noto. Per la Liguria cfr. BENENTE, BIAGTNI1996, p. 97.
(37) Si cfr. le osservazioni relative alla fornace di Marti (Pisa). del pieno XIV secolo, su cui, per lo stato di conservazione, è stata possibile un'analisi dettagliata delle caratteristiche strutturali. BALDASSARRI, FEBBRARO, MENCHINI, ME O, SACCO, TROMBETTA 2005, pp. 85-88. 
 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       BIBLIOGRAFIA

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